Fornace paese molto antico, viene ricordato in alcuni documenti dell’845. Fornace è sparso sulle morene wurmiane terrazzate del versante sud-est di Monte Piano tra le formazioni arenarie del Permiano ed i porfidi della “piattaforma porfirica”. L’abitato cinge il dosso della chiesa e del castello che verso oriente scende ripido e fittamente terrazzato. Gli agglomerati originari erano disposti a “cormei” con la corte interna e le brune sovrastrutture lignee. Paese della bassa Pinetana ed ultimo comune del lato nord-est della Comunità Alta Valsugana deve molto probabilmente il suo nome alla presenza delle fornaci per la cottura e la fusione dell’argento che si estraeva in epoca medioevale ed alto medioevale dalle gallerie chiamate in gergo “canope” del Montepiano e del vicino monte Calisio. Questa importante attività mineraria è scomparsa da quasi 500 anni ed in passato abbastanza recente anni venti, ha lasciato il posto ad una nuova attività, tuttora molto fiorente, l’estrazione e lavorazione del porfido, che si estrae dalle pendici del Monte Gorsa e del Monte Piano.
Attualmente sono in attività 16 imprese, più numerose ditte individuali, con un totale di oltre 300 addetti ed il paese sta vivendo una stagione, che oscura i tempi di ristrettezza e miseria del passato ove l’unica fonte di sostentamento era data da una povera attività agricola, in conseguenza anche delle modeste dimensioni delle proprietà, in moltissimi casi non si riuscivano a creare le condizioni minime per la sopravvivenza, l’unica possibilità era l’emigrazione. L’esodo più massiccio e documentato avviene fra il 1874 e il 1877 ove circa 240 persone emigrano in Brasile nello Stato di Santa Caterina. Vi sono discendenti “Fornasi” sparsi un po’ in tutto il mondo: Europa, Nord America, Sud America.
Mentre il bosco attorno al paese era ed è considerato come una fonte di legname rivolto per lo più all’uso combustibile, con popolamenti degradati, fortemente depauperati nel passato anche per l’aggiunta dell’attività pastorale, il paese ha saputo nel tempo mantenere e valorizzare quel comparto di bosco, che sebbene staccato, collocato in un’altra vallata, ha sempre costituito una fonte di ricchezza, di benessere e considerata alla stregua di una “cassaforte di legno”. Benché collocata lontana, fuori dalla portata per uno sfruttamento normale di uso civico (legna da ardere), il paese di Fornace è riuscito a mantenere sempre forte quel legame culturale, che ha permesso di valorizzare e migliorare il patrimonio. Gli abitanti di Fornace, infatti considerano come loro bosco la foresta di “Fornasa”, piuttosto che i boschi collocati attorno al paese. È un po’ come la seconda casa, nei pochi momenti che si frequenta, ad essa si rivolgono molte più attenzioni che all’abitazione abituale. Il paese di Fornace apparteneva alla Magnifica Comunità Pinetana fin dal Secolo XII, però per aspetti sociali ed economici già nel XIII secolo è governata da un sindaco proprio e da un giurato, anche se l’ordinamento comunale è regolamentato fino al 1429 dagli statuti della Montagna di Pinè. Con rogito notarile del 29 aprile 1519 il comune di Fornace si stacca definitivamente dalla comunità Pinetana rideterminando i propri confini territoriali (gli attuali) ed ottenendo il possesso di un territorio silvo-pastorale poi al territorio comunale (comune amministrativo Fornace prima parte 724 ettari) in Val di Fiemme allora chiamato Monte Campo Larice (ora Fornasa) in virtù del fatto che Fornace esercitava da tempo immemorabile, all’interno della comunità, in Campo Larice ed altri territori più vicini, l’antico diritto di uso civico per quanto riguarda legname, pascolo e selvaggina.
Con la divisione con la comunità di Pinè la Villa di Fornace, si è data dei propri statuti Statutum Villa Fornacis del 23 luglio 1573 che sono introvabili nella versione originale. Da tradizione orale tramandata di generazione in generazione, come punizione per aver sciolto il patto con Pinè, Fornace venne confinata per quanto riguardava l’uso civico nell’angolo più remoto e scomodo in Val Cadino, oltre Campo Larice quel territorio venne poi chiamato Bosco della Fornasa e Valletta. Si ha notizia che nel XV secolo e precisamente nel 1550 la comunità di Fornace affitta il Campo Larice a Ser Pietro figlio del fu Girardi di Castello di Fiemme per la durata di anni 36 per un compenso complessivo di 260 ragnesi da versarsi in quote annuali. Entro le prime rendite ufficiali del nuovo territorio.
Per quanto riguarda Campo Larice non si sono trovati documenti di Controversie con l’I.R. Erario Forestale austriaco, come per esempio esistono per il Monte Albiano; il risultato comunque è lo stesso, questa porzione di territorio “Fornaso” viene incamerato dall’Imperial Regio Fisco mentre la Fornasa e Valletta sono sempre rimaste in uso e proprietà alla comunità di Fornace pur ricadendo nel comune catastale di Valfloriana. Dalla delibera comunale che recita – Monte particolarmente prezioso al Comune di Fornace il “Bosco alla Fornasa” in Cadino se, dopo ponderata riflessione, la rappresentanza comunale aderisce nel 1926 al piano di coltura (elaborato dall’Ispettorato forestale di Cavalese) considerato che il comune potrà trarne notevole vantaggio negli anni futuri, malgrado implichi per il bilancio comunale una spesa complessiva annua di Lire 565,50 per la durata del rimboschimento, che secondo il preventivo dovrebbe essere completato solo alla fine dell’anno 1936, – si può dedurre che l’eccessivo sfruttamento come pascolo, ed i tagli costanti del bosco, aveva ridotto quest’ultimo in cattive condizioni tanto da dover intervenire con impianti per ben 10 anni. Le malghe (erano 4) e sono ora in completo abbandono e stanno scomparendo pian piano anche le tracce. Ma al tramestio degli armenti al pascolo, si è sostituito il fugace ed elusivo movimento di ungulati. Sono presenti il cervo, il capriolo ed il camoscio che in questo ambiente pochissimo antropizzato, trovano il loro habitat ottimale. Nei secoli scorsi più volte si presentò l’ipotesi di una vendita e cessione della proprietà.
Nell’immediato secondo dopoguerra si propose anche la realizzazione di una segheria in loco per lavorare direttamente il legname e procedere alla vendita diretta di assi e travi, ma la maggioranza del consiglio comunale avversò questo progetto e non se ne fece nulla.
Sicuramente il bosco di Fornasa, come d’altronde tutta la Val Cadino è stato sfruttato sin dai tempi antichi; il taglio del legname era praticato anche nel 1700, mentre prima sicuramente la zona era meta di caccia. Prova il fatto che già all’epoca del Mesolitico (IV – V secolo a.C.) la zona fosse frequentata da cacciatori, come lo indicano le recenti scoperte avvenute nei pressi del lago delle Buse (2050 m) con reperti di selci per asce. D’altronde anche il bosco di Fornace era un tempo facilmente accessibile, infatti mentre l’attuale strada del Passo del Manghen risale alla fine del Settecento, prima la via di passaggio che collegava Fiemme con la Valsugana era data da un sentiero – mulattiera che passava attraverso il vecchio passo Cadino, percorrendo la strada della Scaletta verso la Malga Agnolezza e quindi a fianco della proprietà, lungo il Rio Cadino. Anche le cime maggiori erano conosciute sin dai tempi antichi, probabilmente per scopi di caccia. Infatti il nome “Fregasoga” compare in alcuni scritti già nel 1243, Lorenzi usque ad fregam sogam, la cui etimologia potrebbe derivare da corde “soghe” impiegate per dirigere la caduta dei tronchi, o da bagnare delle corde perché non si spezzassero durante l’impiego degli argani “manghen” utilizzati per le operazioni di esbosco. Un ultimo cenno meritano le cime soprastanti, in particolare il monte Croce, famoso per il suo punto di osservazione durante il primo conflitto bellico.
La viabilità vide la luce con i primi interventi datati anni 1920. Il bosco di Fornasa ha sempre rappresentato, almeno sino agli anni settanta, una notevole fonte di ricchezza per le esigue casse comunali del tempo. Ad esso si ricorreva ogni qualvolta si presentasse una necessità improvvisa o tale da non essere supportata dalle normali entrate. A tal riguardo si ricorda la “Fratta del Campanil” realizzata attorno agli inizi del 900 per rifare il campanile della chiesa. Ma non solo il taglio del 1948 per poter realizzare l’acquedotto comunale. È da menzionare anche l’ingente danno patrimoniale causato dall’alluvione del 1966, i segni visivi ed economici dell’evento si notavano fino a qualche anno fa.
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